Foto
25Apr

Ipotesi gnoseologica sul rapporto tra rimosso e conoscenza

«Lo spirito nell’altro non fa che rilevare se stesso, la sua propria natura; ma questa consiste nella rivelazione di sé. L’atto di rivelarsi è quindi già il contenuto dello spirito, e non una forma che si aggiunga dall’esterno al contenuto di questo; quindi mediante la sua manifestazione lo spirito non manifesta un contenuto diverso dalla propria forma, ma la sua forma, esprimente l’intero contenuto dello spirito, cioè la sua rivelazione di sé. Forma e contenuto, nello spirito sono quindi identici». (Hegel G. W. F., Filosofia dello spirito, tr. It. a cura di A. Bosi, UTET, Torino, 2005, p. 96).

 

Ne L’interpretazione dei sogni Freud spiega quale sia il rapporto tra gli affetti vissuti e le istanze rappresentative dei contenuti nel sogno. Egli riporta il sogno di una giovane donna relativo ad una sua preoccupazione diurna rappresentata nella forma della paura dei leoni (p.422). Nel sogno l’affetto della paura, pur comprensibile in un normale stato di veglia, era stato spostato per effetto della censura, producendo come risultato il fatto che i leoni rappresentati nel sogno non cagionavano assolutamente paura. Freud, allora, fa un paragone con una famosa commedia di Shakespeare: «questo leone è dunque paragonabile a quello del Sogno di una notte di mezza estate che si rivela essere Snug, il falegname, e tali sono tutti i leoni in sogni che non ci fanno paura».
In questo esempio sembra evidente come al livello onirico l’affetto della paura sia stato slegato dalla rappresentazione del leone in modo tale che esso appare alla stregua di una rappresentazione scenica, ridotta a drammatizzazione buffonesca di se stessa. Il rapporto tra rappresentazione e affetto, secondo Freud,  risente dell’effetto della censura, e nel processo primario tale rapporto si trasforma secondo i meccanismi di spostamento e condensazione. Il pensiero onirico è, in questo senso, il risultato di una compresenza del pensiero inconscio (rappresentazioni ed affetti) e censura nella rappresentazione dei desideri rimossi.
Dal canto suo Lacan, nel libro I de “Il Seminario. Gli scritti tecnici di Freud”, afferma che il rimosso ed il ritorno del rimosso coincidono (p. 227), cioè che il ruolo della censura è quella di ingannare mentendo, laddove proprio con la menzogna viene detta la verità. «Il soggetto mente. Al punto tale che la cosa più vera che possa dire è: “Io mento”, meritando così di ottenere come risposta “Tu dici la verità”. Nella parola risiede la menzogna fondamentale. La parola è il proton pseudos.» (J.-A. Miller, Il vero, il falso e il resto, in La psicoanalisi, #49, 2011, Astrolabio, Roma, p. 31). Il ritorno del rimosso, in qualità di espressione in forma deformata di rappresentazioni di desideri rimossi, coincide con il rimosso medesimo. La censura, cioè, da un lato produce la deformazione delle rappresentazioni, ma dall’altro lato non potrebbe definirsi se non in presenza delle rappresentazioni stesse già deformate. In altri termini, il rimosso non sarebbe altro che il manifestarsi delle rappresentazioni deformate alla coscienza.
Il sogno, il lapsus, gli atti mancati e le manifestazioni sintomatiche non possono che aprire una finestra sul rimosso che dà sul contenuto in forma già deformata. È possibile, dunque, parlare di rimosso solo finché c’è la deformazione della rappresentazione. De-formazione in quanto implicita negazione implica già in sé la vera natura del rimosso e dell’inconscio tout court: ciò che non è cosciente ma che è presente alla coscienza, ciò che si dà come enigmatico all’interno della coscienza.
Il discorso cosciente, in questa maniera, non è un discorso pienamente riconducibile all’auto-evidenza, all’autoriflessività. La linearità del mondo cosciente viene spezzata, curvata, da una “dissonanza” rispetto alla restante dimensione. Una dissonanza all’interno della coscienza, quale metafora musicale di quel famoso detto freudiano “l’Io non è padrone in casa propria”. Al di fuori della coscienza riflessiva vi è un’irriflessività pur sempre immanente alla coscienza, la quale riduce la stessa a semplice spettatore al cospetto dell’oggetto. L’esperienza negativa dell’oggetto rompe la continuità della coscienza riflessiva aprendola all’irriflessività. Si tratta di un’esperienza negativa quella in cui si manifestano le formazioni dell’inconscio, cioè di un’esperienza cosciente che prelude all’eclissamento di se medesima: una coscienza che contempla l’inconscio, che contempla il rimosso.
Per certi versi si potrebbe dire che se dietro il ritorno del rimosso non c’è il rimosso perché ad esso coincide, si riconduce il soggetto al proprio svuotamento sostanziale. Così come, infatti, il ritorno del rimosso ed il rimosso coincidono, cioè la deformazione rappresentativa e la censura, altrettanto avviene dietro la tenda dipinta da Zeuxi, per la quale non esiste alcun vero dipinto poiché l’unico dipinto è ciò che cela il dipinto: Il soggetto nella menzogna dice l’unica possibile verità.
Lo scarto kantiano tra fenomeno e noumeno, che rimarca il solco tracciato dall’idealismo platonico, “degenera” (alla stregua di una circonferenza il cui raggio ha misura pari a zero) in una perfetta coincidenza del fenomeno con la stessa essenza eidetica: essenza nell’appiattimento. Dietro quel che appare non c’è che ciò che appare, e questo non in quanto esso sia solo apparenza ma piuttosto quale negazione di se stesso come sola apparenza (“Io mento” dice il bugiardo). Detto ciò, cosa c’è da rimuovere al livello rappresentativo (Vorstellungrepräsentanz) se non ciò che pertiene all’oggetto medesimo? Cioè, volendo estendere la questione del rapporto tra rappresentazione cosciente ed inconscio ad un campo più prettamente gnoseologico, si potrebbe dire che ogni forma platonismo comporta in sé il punto massimo di rimozione. Se, infatti, si ha una coscienza che osserva un oggetto lo coglie nella sua Idea (cioè come puro concetto), la costruzione fonemico-linguistica (la parola) quale segno rappresentante, già pone in sé un idealismo: essendo la ragione, la coscienza, a rappresentare l’oggetto-concettuale, cioè coglie l’oggetto per mezzo dello strumento linguistico che lo discrimina dagli altri oggetti al livello di differenziazione figura-sfondo, possiamo desumere che essa già pone l’oggetto in sé come già deformato.
Da qui deriva che la realtà vera dell’oggetto è proprio la coscienza della rimozione concernente l’atto di conoscere medesimo.
In un’altra terminologia ove vengono distinti il reale (l’oggetto) e la finzione (la sua deformazione) potremmo dire che:

«Qualsiasi accesso al reale ne è la divisione. Non esiste un reale che si tratterebbe di epurare da ciò che non è reale, in quanto qualsiasi accesso ad esso è immediatamente, e necessariamente, una divisione, non soltanto del reale e della finzione, ma del reale stesso, visto che esiste un reale della finzione. È l’atto di questa divisione, per la quale la maschera di parvenza è strappata e al tempo stesso identificata, che descriviamo come il processo di accesso al reale» (Badiou A., À la recherche du réel perdu, Librerie Arthème Fayard, 2015, tr. It. a cura di Tusa G.,  Alla ricerca del reale perduto, Mimesis, Milano – Udine, 2016, p. 21).

La rimozione non è altro che il processo immanente allo stato di coscienza: la conoscenza è già in sé rimozione. Se la conoscenza è conoscenza per concetti, per categorie, la coscienza non può che essere già di per sé, in quanto apprensione, piegata verso un procedimento di deformazione. Questi non può che coincidere con l’oggetto stesso: un reale della maschera (finzione). L’inconscio, dunque, non sta in altro luogo se non presso l’atto stesso della deformazione conoscitiva, espediente linguistico, coscienza di sé.
La conoscenza irriflessa concepisce una coscienza che pone al proprio interno l’elemento di negazione della propria stessa riflessione, ovvero di dissonanza, nell’atto  stesso di apprensione dell’oggetto in quanto essa stessa verità oggettuale. L’oggetto reale non è il concetto, ma il rimosso dell’oggetto concepito dal concetto. Dietro l’oggetto non vi è un’eidos ideale; l’oggetto è l’oggetto in quanto deformazione dell’oggetto reale medesimo. L’oggetto cosciente (=reso alla coscienza) è così al tempo stesso il rimosso; è compresenza dell’oggetto intenzionato dalla coscienza includendo ciò che non può che abitare al di fuori della coscienza medesima. Esso è oggetto rimosso che pur essendo concepito straripa al di fuori del concetto.

Dario Alparone

Commenti