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Il ruolo della plasticità neuronale nella determinazione, dinamica ed imprevedibile, della nostra esistenza

La plasticità neuronale, scoperta nel 2000 da Eric Kandel, premio Nobel per la medicina,  è il meccanismo  che  consente  la  registrazione  dell’esperienza  (Kandel  2000).  Tale  scoperta  ha costituito  un  evento  epocale  che  possiamo  agganciare  alla  nascita  della  psicoanalisi  avvenuta nel   1900   con   la   pubblicazione deL’interpretazione   dei   sogni   di   Sigmund   Freud.   Egli auspicava,  infatti,  che  un  giorno  la  fisiologia,  la  biologia  e  la  chimica  avrebbero  tradotto  i termini psicologici usati per descrivere  la realtà interna dell’uomo, costituita da ricordi, di cui solo alcuni possono essere riportati alla coscienza.  Ancora  Freud  nel Compendio  di  psicoanalisi  (1938)  afferma: <<Di  ciò  che  chiamiamo  la nostra  psiche  (o  vita  psichica)  ci  sono  note  due  cose:  innanzitutto  l’organo  fisico  e  il  suo scenario, il cervello (o sistema nervoso) e, in secondo luogo, i nostri atti di coscienza (…) Tutto ciò che sta in mezzo fra queste due cose ci è sconosciuto” (p. 572). Ecco  i  cardini  che  orientano  un  campo  di  ricerca  molto  attuale  che  vede  l’interazione  tra psicoanalisi  e  neuroscienze  e  che  ha  condotto  alla  pubblicazione,  per  Bollati  Boringhieri  nel 2008, del libro A ciascuno il suo cervello, di François Ansermet e Pierre Magistretti, a cui mi sono  ispirata  per  la stesura  di  questo  breve  articolo.  Le  neuroscienze  offrono  alla  psicoanalisi una  diversa  prospettiva  per  lo  studio  dell’inconscio,  e  più  in  generale  della  mente,  prima inferita solo teoricamente e clinicamente. Oggi  gli  scienziati si ripropongono di spiegare tramite quali meccanismi neurali si costituisca ed emerga l’inconscio.  Constatando  che  l’esperienza  lascia  dei  segni  nella  nostra  vita  psichica,  si  perviene  ad  un accostamento  tra  lo  studio  della  realtà  psichica  con  i  suoi  effetti  e  quello  del  cervello, nonostante   siano   afferenti   ad   ambiti   difficilmente   accostabili   e   non   sovrapponibili,   per diversità  di  paradigmi  teorici  e metodologici . È normale  chiedersi  se  il  funzionamento cerebrale  sia  determinato  esclusivamente  dalla  genetica  e se  il  cervello,  a  conclusione  dello sviluppo  del  sistema  nervoso,  rimanga  cristallizzato  e  immutabile.  Inoltre,  cosa  ci  rende  così diversi uno dall’altro? È l’esperienza, integrata al nostro genotipo, che concorre a plasmarci. La plasticità  neuronale  costituisce  il  meccanismo  che  congiunge  neuroscienze  e  psicoanalisi:  l’esperienza,  diversa  e  unica  per  ciascun  individuo,  lascia  una  traccia,  iscritta  nel  sottile funzionamento delle sinapsi il cui funzionamento, invece, è relativamente uniforme sia in tutti gli  uomini,  sia  tra  un  tipo    di  neurone  e  un  altro.  È  proprio  nella  determinazione  universale della genetica che è iscritta l’apertura all’imprevedibilità, all’unicità dell’esperienza individuale. Come  fa,  dunque,  l’esperienza  a  lasciare  tracce  psichiche,  a  contribuire  alla  determinazione della nostra identità, nella sua oscillazione tra continuità e cambiamento, a formare dei ricordi ed  a  iscriversi    nei  circuiti  neuronali,  formando  tracce  molecolari  e  cellulari? Questo  avviene perché  i  neuroni,  a  livello  dei  loro  sottili  meccanismi  di  funzionamento,  cioè  delle  sinapsi, hanno  la  capacità  di  modificare  l’efficacia  con  cui  trasmettono  le  informazioni.  (Bear,  2003). I neuroni  sono  soggetti  a  modificazioni  plastiche  e  durature  a  livello  della  fessura  pre-sinaptica e post-sinaptica, attraverso la modulazione della quantità di segnali elettrici e chimici e la facilitazione della trasmissione del segnale (Vedi F. Ansermet e P. Magistretti, A ciascuno il suo  cervello,  p.  60). La  struttura  delle  connessioni  sinaptiche,  solo  in  parte  predeterminata dalla genetica,   può essere paragonata a delle reti, la cui costituzione   dipende dal condizionamento reciproco, unico e contingente, tra le singole    parti, collegate e interdipendenti. Come l’ambiente, ovvero una singola   parte, svolga  il  proprio   ruolo   è  individuabile nell’esperienza primaria dell’associazione simultanea e integrata tra, ad esempio, uno stato di tensione interno sfociato in un grido, come la fame o il sonno, e l’intervento di un altro,  come  la  madre,  che concorre  alla  costituzione  di  una traccia  di  sollievo  piuttosto  che  di angoscia  (vedi  Freud,  1895,  cap  I, L’esperienza  del  soddisfacimento). In  questo  modo, e secondo  l’analogia  tra  traccia  psichica  e  sinaptica  sostenuta  da  Ansermet  e  Magistretti,  si creano  o  si “spengono”  circuiti duraturi,  delle  registrazioni  che,  come  affermano  tali studiosi, hanno   sicuramente   una   base   sinaptica. Questi   sono   alla   base   della   memoria,   dell’apprendimento, di tutto il bagaglio di conoscenze di cui disponiamo, consolidato in noi tramite il  rafforzamento  di  determinati  circuiti,  tracce,  ovvero  registrazioni  delle  percezioni  e  dell’esperienza. Tali  tracce  costituiscono  in  noi  una  realtà  interna  non-cosciente ma  richiamabile alla  coscienza,  come  quando  siamo  chiamati  a comunicare  i   movimenti  che  ci  permettono  di camminare. L’inconscio,   invece,   potrebbe   essere   definito   come  una   serie  di  tracce   e  di associazioni non accessibili alla coscienza ma che possono emergere improvvisamente, quando una  coincidenza  della  realtà  esterna,  come  una  percezione, o  di  quella  interna,  come  un ricordo, ne facciano  emergere  una catena associativa; questa  potrebbe portare ad una serie di sensazioni  non  inerenti  alla  realtà  contingente  vissuta  e  neanche  identiche  all’esperienza passata da cui sono sorte.

<<Ci   troviamo   dunque   di   fronte   ad   un   paradosso:   i   meccanismi   che   consentono   la registrazione  dell’esperienza  sono  quelli  che  separano  dall’esperienza.  Si  ritrova  una  traccia, ma  non  si  ritrova  più  l’esperienza –  e  questo  in  misura  tanto  maggiore  quanto  più  questa traccia  si  ricombina  con  altre  tracce  secondo  leggi  proprie  della  vita  psichica.  Anche  se  all’inizio, come dice Freud, c’è la percezione, questa, registrandosi, diventa uno stimolo di ordine diverso  per  l’apparato  neurale,  ed  è  così  che,  di  trascrizione  in  trascrizione,  per  il  tramite dei meccanismi  di  plasticità  sinaptica,  l’esperienza  in  quanto  tale  si  perde,  anche  se  ha  prodotto delle tracce durature.>> (A ciascuno il suo cervello, p. 41)

La  logica  con  cui catene  associative  inconsce si  creano  richiederebbe  più  spazio.  Mi  limito  ad indicare   i   tre   paradossi   propri   della   plasticità   neuronale   individuati  dallo   psicoanalista Ansermet  e dal  neurobiologo  Magistretti: l’effetto  che  l’esperienza  lascia  nei  neuroni  genera unicità,  la  riassociazione  delle  tracce  nella  creazione  di  nuove  ci  pone  in  discontinuità  con  l’esperienza concretamente esperita ed ogni cambiamento comporta l’imprevedibilità del nostro divenire.

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